CENNI DELLA FONDAZIONE DEL MONASTERO SAN BERNARDINO
Nel 1417 iniziano a diffondersi le “Terziarie” o “Beghine” di un movimento laicale dell’Ordine francescano che facevano riferimento ad una Chiesa, chiamata della Morte, risalente all’XI secolo.
La fama di queste laiche si espanse e certamente San Bernardino già sapeva di loro quando nel 1426, nelle sue tappe religiose nel periodo di quaresima si recò a Viterbo. Predicatore instancabile, diffondeva la devozione al nome di Cristo, faceva incidere su tavolette di legno il monogramma “IHS” e nei suoi sermoni infuocati, spingendo i fedeli a baciare queste tavolette, li invitava alla penitenza ed esortava le donne ad abbracciare il Terz’Ordine Regolare di San Francesco, che la Beata Angelina, contessa di Marsciano, aveva fortemente diffuso. Fu dietro richiesta di S. Bernardino da Siena, che Angelina inviò a Viterbo 4 consorelle del monastero di Sant’Anna per fondare il monastero col titolo di Sant’Agnese, alla quale in quel tempo venivano intitolati molti luoghi religiosi.
Dopo questi fatti, già negli anni fra il 1448 e il 1454 le monache venivano chiamate le “bizoche del Beato Bernardino” nonostante il titolo del monastero fosse ancora quello di S. Agnese. È intorno al 1459 vendettero la vigna che avevano ottenuto quattordici anni prima dal lascito di un benefattore iniziarono a edificare la Chiesa. L’edificio sacro venne dedicato a San Bernardino.
Nel XVI secolo, il monastero di S. Bernardino aumentò in maniera significativa la presenza di monache provenienti dalle famiglie nobili della Tuscia.
Nel 1529 le monache circa 53 volendo ancora ampliare il convento, chiesero l’autorizzazione a poter chiudere la strada che lo divideva dal loro mulino facendo di conseguenza aprire quella oggi chiamata Via della Pietra del Pesce.
Probabilmente l’origine aristocratica di molte di loro le spingeva a vivere al di là delle possibilità interne al monastero stesso, facendo sorgere problemi che ne favorivano il decadimento; cosa che non accadde solo in San Bernardino, ma in tutti i monasteri d’Italia. Il concilio di Trento pertanto nella sua ultima sessione del 3 dicembre 1563 disciplinò le norme monastiche femminili, guardando alla clausura come provvedimento necessario.
La novità claustrale interna della vita religiosa prevedeva anche modifiche nell’architettura mediante l’innalzamento di alti muri esterni che circondavano gli edifici religiosi, l’introduzione in essi di grate e in molti casi l’aggiunta della ruota al portone, cosa che rendeva la vita delle monache non facile.
L’obbligo di clausura aveva comportato infatti in generale per tutti i monasteri la necessità di reperire fondi per il sostentamento. Anche se non esplicitamente, il fatto che le normative emesse dal concilio tridentino imponessero un numero massimo di monache per ciascun monastero in modo che potessero essere mantenute, aveva dato avvio all’inizio della pratica del versamento di una dote.
* Fonte: Suor Giacinta Marescotti, al secolo Clarice. Nobildonna e monaca, Francesca Giurleo e Maurizio Grattarola